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Rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia europea sulla definizione dei confini della responsabilità solidale tra scissa e scissionaria in materia di illecito permanente ambientale

 

CORTE DI CASSAZIONE, I SEZ. CIV., ORD. N. 32365 DEL 03.11.2022.

 

Oggetto

La Corte di Cassazione, mediante l’ordinanza interlocutoria n. 32365 del 2022 resa nell’ambito del procedimento recante R.G. n. 25206 del 2019, ha investito la Corte di Giustizia Europea della questione relativa all’interpretazione della VI Direttiva 82/891/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1982, relativa alle scissioni delle società, così come recepita dal Legislatore italiano all’art. 2506 bis 3° comma, ponendo il seguente quesito: “Se l’art. 3 della VI direttiva, applicabile (art. 22) pure alla scissione mediante costituzione di nuove società, – nella parte in cui stabilisce che (a) “se un elemento del patrimonio passivo non è attribuito nel progetto di scissione e l’interpretazione di quest’ultimo non permette di deciderne la ripartizione, ciascuna delle società beneficiarie ne è solidalmente responsabile”, e che (b) “gli Stati membri possono prevedere che questa responsabilità solidale sia limitata all’ attivo netto attribuito a ciascuna società beneficiaria” – osti a un’interpretazione della norma di diritto interno costituita dall’art. 2506-bis, terzo comma, cod. civ. che intenda la responsabilità solidale della beneficiaria riferibile, quale “elemento del passivo” non attribuito dal progetto, oltre alle passività di natura già determinata, anche (i) a quelle identificabili nelle conseguenze dannose, prodottesi dopo la scissione, di condotte (commissive o omissive) venute in essere prima della scissione stessa o (ii) delle condotte successive che ne siano sviluppo, aventi natura di illecito permanente, generative di un danno ambientale, i cui effetti, al momento della scissione, non siano ancora compiutamente determinabili”.

 

Interpretazione dell’art. 2506 biscod. civ. e profili relativi al danno ambientale

La questione che ha indotto la Corte al rinvio pregiudiziale innanzi richiamato attiene alla controversa attribuibilità in capo alla società scissionaria della responsabilità derivante dai danni causati da un illecito permanete di carattere
ambientale commesso dalla società scissa.

I “fatti generatori” dell’illecito permanente venivano commessi dalla società scissa anteriormente alla stipula dell’atto di scissione, tuttavia, le conseguenze delle condotte illecite si protraevano in avanti rispetto alla costituzione della
scissionaria, rendendo, di fatto, impossibile una preventiva e definita cristallizzazione delle passività nell’ambito del progetto di scissione.

Nell’ambito del giudizio di legittimità, la ricorrente società scissionaria impugnava la pronuncia n. 3294 del 2021 della Corte di Appello di Milano, eccependo, tra gli altri motivi, la falsa applicazione dell’art. 2506 bis cod. civ.,
sostenendo che non si sarebbe dovuto attribuire a essa beneficiaria la responsabilità dei danni generati successivamente alla scissione, in violazione del limite temporale posto dalla tenuta normativa in rapporto agli “elementi del passivo” o ai “debiti” già esistenti al tempo della scissione medesima.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha fornito risposta negativa “in ordine alla presunta necessità di distinguere, anche ai fini della responsabilità solidale, i debiti dagli elementi del passivo col fine di intendere la norma stessa come tesa a riferire la solidarietà della beneficiaria solo al passivo già determinato prima della operazione di scissione”.

La posizione innanzi citata appare assolutamente condivisibile. La distinzione di carattere contabile che insiste tra gli elementi del passivo e i debiti, infatti, non determina differenziazioni sostanziali attinenti al piano della responsabilità solidale tra società scissa e società beneficiaria di nuova costituzione. Sul punto, il dettato degli artt. 2506 bis cod. civ. e 2506 quater cod. civ. è sostanzialmente identico, infatti il primo prevede che “degli elementi del passivo, la cui destinazione non è desumibile dal progetto, rispondono in solido […] la società scissa e le società beneficiarie”, ed il secondo, allo stesso modo, ma in relazione ai debiti, che “ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non
soddisfatti dalla società cui fanno carico”.

Superata la problematica relativa alla distinzione tra elementi del passivo e debiti, orientata a confermare la posizione assunta dalla Corte di merito circa la identificazione temporale dell’ambito nel quale il danno (risarcibile anche dalla società beneficiaria di nuova costituzione) possa giungere alla sua connotazione quantitativa complessiva, la Suprema Corte ha ritenuto di dover investire della questione la Corte di Giustizia Europea, al fine di appurare se una tale interpretazione fosse conforme all’art. 3 della VI Direttiva CEE, il quale dispone: “se un elemento del patrimonio passivo non è attribuito nel progetto di scissione e l’interpretazione di quest’ultimo non permette di deciderne la ripartizione, ciascuna delle società beneficiarie ne è solidalmente responsabile. Gli Stati membri possono prevedere che questa responsabilità solidale sia limitata all’attivo netto attribuito a ciascuna società beneficiaria”.

Il rinvio pregiudiziale pare rinvenire la sua ragion d’essere nel dato che, né il Legislatore comunitario, né il Legislatore nazionale, siano intervenuti circoscrivendo i rispettivi ambiti temporali all’interno dei quali i danni (nell’accezione di fatti generatori e relative conseguenze afferenti il periodo sia ante che post scissione) debbano ritenersi risarcibili esclusivamente dalla società scissa e non anche dalla società beneficiaria di nuova costituzione. La questione assume maggiore complessità in virtù della circostanza per la quale, indentificato l’ambito temporale nel quale il “fatto generatore” del danno è venuto ad esistenza, permane il problema della imputabilità delle conseguenze dannose,
le quali si protraggono in un momento successivo l’atto di scissione.

I profili di particolare singolarità che connotano la questione si devono, altresì, alla peculiare struttura e disciplina del danno ambientale, le cui conseguenze sono difficilmente circoscrivibili in un lasso di tempo ristretto e determinabile, sul
punto la Corte ha ritenuto quanto segue: “dal giudice del merito è stata accertata, a carico di Snia [società scissa], l’anteriorità della condotta generativa del danno ambientale come configurata sia dalla I. n. 349 del 1986 che dal d.lgs. n. 152 del 2006 (cd. T.u.a.), artt. 300 e seg. Questa identifica l’ambito della responsabilità
risarcitoria per il conforme illecito permanente.

Il fatto rilevante può consistere nella violazione di una qualunque prescrizione riferita ad attività umana da cui possa derivare un’alterazione o un deterioramento significativo dell’ambiente desumibile dall’insieme delle regole dell’ordinamento, tra le quali rientrano sicuramente quelle relative all’illecito aquiliano e alla responsabilità derivante dall’esercizio di attività pericolose (art. 2050 cod. civ.).

E difatti la nozione stessa di danno ambientale, tanto se declinata ai sensi dell’art. 18 della I. n. 349 del 1986, quanto se associata al T.u.a. (art. 300), comprende – è stato detto in modo condivisibile – tutte le conseguenze dei fatti accertati, dalla perdita definitiva (correlabile alla distruzione) o al deterioramento (o peggioramento qualitativo) di una risorsa ambientale, e finanche all’alterazione del bene ambiente in sé considerato, consistente nella modificazione definitiva dell’equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio con una visibile modificazione degli assetti precedenti (cfr. Cass. Sez. 3 n. 8662-17, Cass. Sez. 3 n. 8468-19)”.

 

Essenziale ai fini della definizione di danno ambientale risulta, dunque, l’indicazione dell’art. 18 della Legge n. 349 del 1986: il primo comma enuncia i presupposti di una responsabilità per colpa ma, a differenza dell’art. 2043 cod.
civ., il presupposto non è integrato dall’ingiustizia del danno, ma dalla circostanza per la quale il fatto lesivo si qualifichi quale espressa violazione di legge. Questo requisito, che rinvia alle specifiche definizioni contenute nella normativa ambientale di settore, sostituisce il concetto elastico di ingiustizia di cui all’art. 2043 cod. civ.: il danno è ingiusto quando deriva da una violazione di legge.

Secondo l’orientamento consolidato, il Legislatore ha, dunque, accolto un principio di tipicità dei fatti produttivi di danno ambientale, in virtù della seguente considerazione: se la norma sulla responsabilità per danno ambientale
fosse basata sulla clausola generale dell’ingiustizia del danno, la determinazione delle forme e dei limiti all’alterazione dell’ambiente, sarebbe rimessa alle valutazioni discrezionali e decentrate dei singoli giudici, con un metodo del tutto inadeguato in un campo in cui vi è esigenza di regole dettate sulla base di una visione di prospetto generale e ove risulta centrale la pianificazione.

Al fine di rispondere al quesito sul se, nel presente caso di specie, possa procedersi ad una ascriviibilità complessiva del danno in capo alla società beneficiaria di nuova costituzione, comprensiva della alterazione del bene ambientale, palesatasi nella modificazione definitiva dell’equilibro ecologico del territorio, risulta pregiudiziale, dunque, fornire una risposta al problema di carattere societario, attinente la ripartizione della responsabilità aquiliana tra la società scissa e la società beneficiaria di nuova costituzione.

 

Conclusioni

 

Dal tenore dell’ordinanza interlocutoria appare evidente l’intento della Corte di accogliere la soluzione estensiva della responsabilità solidale alla società beneficiaria di nuova costituzione, estendendo la responsabilità solidale in capo medesima anche per i danni prodottisi successivamente alla scissione, ma derivanti da fatti o eventi riferibili alla società scissa e relativi ad un momento anteriore alla scissione.

A tale proposito, nell’iter interpretativo della Cassazione, pare assumere carattere dirimente una precedente pronuncia della Corte di Giustizia Europea, la quale, occupandosi della posizione dei creditori della società scissa, ha esplicitamente chiarito che la VI Direttiva dispone, ai termini dell’ottavo considerando: “i creditori, o no, ed i portatori di altri titoli delle società partecipanti alla scissione devono essere tutelati onde evitare che la realizzazione della
[scissione] li leda”
1. “Quindi ogni interpretazione delle afferenti norme deve garantire la sicurezza giuridica nelle relazioni sia fra le società partecipanti alla scissione che fra queste e i terzi”2.

 

Per approfondimenti

Sui profili relativi al progetto di scissione: Dott.ssa Anna Giugliano – anna.giugliano@hsladvisors.com;

Sui profili relativi al danno ambientale: Avv. Mario Rainone – mario.rainone@hsladvisors.com;

Sui profili relativi al diritto societario: Dott. Benito Maffettone – benito.maffettone@hsladvisors.com

 

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