N.9 Agosto 2025
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Corte di Cassazione Terza Sezione Penale Sentenza n. 37237 del 10 luglio 2024 Brevi Osservazioni
La Corte di Cassazione, III sezione penale, con la sentenza n. 37237 del 10.7.2024 (dep. 10.10.2024),Pres. Ramacci – Est. Zunica – è tornata ad occuparsi della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis cod. pen. nell’ambito della disciplina di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
In particolare, “ La causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. non è applicabile alla responsabilità amministrativa dell’ente per i fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai propri dirigenti o dai soggetti sottoposti alla loro direzione prevista dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in considerazione della differenza esistente tra i due tipi di responsabilità e della natura autonoma della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato presupposto. Tale autonomia esclude che l’eventuale applicazione all’agente della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto impedisca di applicare all’ente la sanzione amministrativa, dovendo egualmente il giudice procedere all’autonomo accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso”
La sentenza in commento offre una nuova occasione per tornare a riflettere sui rapporti tra particolare tenuità del fatto e “responsabilità 231”, nel quadro, come noto, della ritenuta inapplicabilità, da parte della giurisprudenza di legittimità, di tale causa di non punibilità agli enti collettivi.
La vicenda processuale trae origine dalla declaratoria ex art. 131-bis c.p. pronunciata dal Tribunale di Sassari nei confronti di M.B., direttore tecnico e amministrativo della società C. s.r.l., imputato del reato di cui all’art. 256, comma 1 lett. a) e b), del d.lgs. n. 152/2006 (c.d. Testo Unico Ambientale), in relazione alla gestione di un centro di raccolta di rifiuti urbani, pericolosi e non, in violazione delle prescrizioni tecniche stabilite dai decreti ministeriali applicabili.
Il tribunale sardo, discostandosi dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, emetteva pronuncia assolutoria di analogo tenore nei confronti della società C., cui era stato ascritto, in dipendenza dal suddetto reato, il relativo illecito amministrativo ai sensi dell’art. 25-undecies, comma 2, del d.lgs. n. 231/2001.
Contro la decisione M.B. e la C. s.r.l. ricorrevano per Cassazione, presentando distinti ricorsi.
Il primo lamentava l’erronea applicazione dell’art. 131-bis c.p. e degli artt. 256, comma 1 lett. a) e b) e 258 del d.lgs. n. 152/2006, oltre al vizio di motivazione. La difesa, infatti, sosteneva che il tribunale avrebbe dovuto assolvere l’imputato perché il fatto non è previsto come reato, formula più favorevole rispetto a quella applicata. Più precisamente, si rilevava che la condotta contestata — consistente nella mancata contabilizzazione dei rifiuti in ingresso e in uscita per i primi due mesi di attività, al fine dell’impostazione dei bilanci di massa — integrasse, al più, l’illecito amministrativo di cui all’art. 258 del d.lgs. n. 152/2006 (“Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari”).
La C. s.r.l., analogamente, sollevava – tra gli altri motivi – il difetto di motivazione della sentenza impugnata rispetto al giudizio di responsabilità dell’ente, osservando che il tribunale, prima di riconoscere la particolare tenuità del fatto – decisione che va iscritta nel casellario giudiziale ed esplica gli effetti del giudicato a norma dell’art. 651-bis c.p.p. – avrebbe dovuto argomentare sulla sussistenza del reato presupposto.
La difesa dell’ente deduceva altresì la violazione degli artt. 25-undecies, comma 2, del d.lgs. n. 231/2001, 256, comma 1, lett. a) e b) e 265 del d.lgs. n. 152/2006, sottolineando che la condotta addebitata – circoscritta alla sola mancata redazione degli schedari sui conferimenti dei rifiuti – dovesse essere ricondotta nell’alveo della già menzionata fattispecie di cui all’art. 258 del d.lgs. n. 152 del 2006, con il conseguente venir meno del reato-presupposto.
La Suprema Corte, rilevata la sovrapponibilità delle censure dei ricorrenti in relazione al vizio di carenza motivazionale, ha ritenuto fondati i ricorsi. Nell’annullare con rinvio la sentenza impugnata in punto di accertamento della sussistenza del reato dell’individuo e della responsabilità dell’ente, come si diceva la Cassazione ha ribadito, richiamando precedenti e oramai consolidati arresti, che la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. non è applicabile al soggetto collettivo.
Anche nella pronuncia in esame, invero, i Giudici di legittimità, ponendo l’accento sulla distinzione tra i due regimi di responsabilità – individuale e collettiva – e ribadendo la natura autonoma di quella ex d.lgs. n. 231/2001, negano con decisione l’operatività dell’art. 131-bis c.p. nel contesto della responsabilità delle persone giuridiche.
Prima di analizzare più da vicino la – per vero stringata – motivazione addotta dai Giudici di legittimità, è opportuno muovere dall’analisi dell’art. 8 del d.lgs. n. 231/2001.
Tale previsione, tra le più controverse del d.lgs. n. 231/2001, come si sa stabilisce l’autonomia della responsabilità dell’ente nei casi in cui «l’autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile» (lett. a) e quando «il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia» (lett. b).
Nel dibattito dottrinale si oscilla tra quanti ritengono che si tratti di una scelta coraggiosa e qualificante della nuova disciplina e chi invece lamenta un eccesso del ruolo rivestito dall’art. 8 nella complessiva architettura del sistema di responsabilità da reato delle persone giuridiche.
Da un lato, infatti, il paradigma autonomistico consente di rispondere in modo efficace alle esigenze di tutela derivanti dall’evoluzione delle strutture organizzative, la cui crescente complessità e – spesso – opacità rende difficoltosa, se non impossibile, l’attribuzione delle responsabilità individuali.
Dall’altro lato, sul piano sanzionatorio, il principio di autonomia rivela taluni limiti: mantenendo ferma la responsabilità collettiva in caso di estinzione del reato-presupposto, senza alcuna eccezione salvo l’amnistia, non consente il ‘transito’ di una serie di istituti – diversamente qualificati come cause, dalla personifica all’ente..
Tra questi, avuto riguardo alla particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. in considerazione nella vicenda di specie, si sono delineati in dottrina, come noto, due orientamenti distinti: il primo – cui aderisce anche la sentenza impugnata – favorevole all’applicazione dell’art. 131-bis c.p. agli enti collettivi; e il secondo, di segno opposto, che nega tale possibilità.
La Suprema Corte di Cassazione, nella pronuncia in esame, come anticipato si esprime in modo inequivocabile: «la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non è applicabile alla responsabilità amministrativa dell’ente».
L’intero impianto argomentativo dei Giudici di legittimità si fonda principalmente su un aspetto: quello della natura autonoma della responsabilità dell’ente. Tale autonomia, si sottolinea, «esclude che l’eventuale applicazione all’agente della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità impedisca di applicare all’ente la sanzione amministrativa».
Ne deriva, inevitabilmente, che in caso di sentenza di applicazione della particolare tenuità in relazione alla persona fisica, l’accertamento di responsabilità della persona giuridica deve essere effettuato in modo autonomo.
La motivazione è qui senz’altro concisa, ma si inquadra nel solco di un orientamento di legittimità in cui non sono mancate, come si ricordava in apertura, pronunce convergenti in tal senso e che si sono maggiormente intrattenute sulle ragioni a sostegno di tale approdo – alcune delle quali peraltro richiamate nella pronuncia in esame (v. Cass. pen., sez. III, 10.07.2019 (dep. 15.01.2020) n. 1420; Cass. pen., sez. III, 23.01.2019 (dep. 15.03.2019) n. 11518; Cass. pen., sez. VI, 29.05.2018 (dep. 4.09.2018) n. 39914; Cass. pen., sez. III, 17.11.2017 (dep. 28.02.2018), n. 9072.)
In tali occasioni, la Corte ha fondato le proprie argomentazioni sulla differenza tra la responsabilità penale – che, per espressa previsione legislativa può essere esclusa nel caso in cui sussistano i presupposti di cui all’art. 131-bis c.p. – e quella amministrativa dell’ente.
Quest’ultima, infatti, secondo la giurisprudenza maggioritaria, è un tertium genus di responsabilità, autonoma rispetto a quella penale della persona fisica autrice del fatto di connessione che trova «nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l’intera sua concretizzazione» ed è «volta a sanzionare la colpa di organizzazione dell’ente» (così Cass. pen., sez. III, 15.01.2020, n. 1420). Pertanto: non trattandosi di una responsabilità penale in senso stretto, il Collegio esclude la possibilità di applicare la causa di non punibilità.
Si rileva, inoltre, la circostanza per cui il proscioglimento della persona fisica ai sensi dell’art. 131-bis c.p. «lascia intatto il reato nella sua esistenza, sia storica sia giuridica» con la conseguenza che la relativa sentenza si prospetta come una «cripto condanna» (così Cass. pen., sez. III, 17.11.2017 (dep. 28.02.2018), n. 9072 ).
In prospettiva di riforma, sarebbe auspicabile un intervento legislativo per chiarire se, e a quali condizioni, la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. possa applicarsi anche alle persone giuridiche.
Ciò risulterebbe necessario non solo per ragioni di omogeneità logica e di non contraddizione dell’ordinamento giuridico, ma anche perché pare poco sensato attivare la giustizia penale solo nei confronti dell’ente per fatti che il giudice penale ha ritenuto, in concreto, non meritevoli di pena in relazione all’autore del reato.